57th & 9th

Jul
19
2017
Locarno, CH
Moon & Stars Festival
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Sting The King...

 

L'"Arrividerci" all'uscita è stato corretto. Restano i mandolini di “Bella musica”, sigla ufficiale di Moon and Stars, brano di Nella Martinetti che non suona proprio happening rock, ma – visto il germanico dilagante in strada e nella sala stampa – fa tanto casa. E poi, il festival ha fatto un salto di qualità sonora, niente più frequenze killer dal banco audio e un gran bel palco, 'rustico' quanto basta. C'è un cielo grigio da highlands, ma non è il freddo di “If on a winter's night”, vecchio album invernale dell'uomo che salirà sul palco. Il caldo è californiano, in Piazza Grande, con punte da Riccione nel dopo pranzo e una spruzzata di pioggia londinese, verso le 19. Indipendentemente dalla meteo, quando Sting mette piede in scena, è il Re della Piazza, e il tempo gli si inchina, clemente.

 

Un passo indietro. Aveva aperto Tom Odell, “un giovane Elton John”, definizione che si spende periodicamente alla comparsa di ogni pianoman (Daniel Powter, Ben Folds e affini, ma la caccia all'erede non si è mai chiusa). Apre, il giovane, con la bella “Still getting used to being on my own” e “I know” di seguito, suono pesante come quello di nonno Reg, faccia che buca i maxischermi e una sobria eleganza nel pestare sul pianoforte, retto da una band precisa e altrettanto giovane. E su “Constellations”, il pianista prova (prova) a toccare i cuori con la ballad, cosa riuscita per 45 anni al suo antenato con “Your song”.

 

Un passo avanti di pochi minuti. A Sting. Arrivarci a (quasi) 66 anni in forma come Gordon Sumner. E non per la bufala (aggiorniamo, fake news) dell'amore tantrico da otto ore – balla mediatica come il Michael Douglas in clinica per dipendenza da sesso, il McCartney che non è McCartney e il Jim Morrison che sarebbe Barry Manilow – ma per la sua portata artistica, o anche solo per il pezzo d'apertura, “Synchronicity II”, che a Locarno mette pace tra i nostalgici dei Police “quelli veri” e i sostenitori del “tanto i Police sono lui” (metà e metà?). T-shirt blu e pantaloni grigio scuro, asciutto ma senza lifting e con un basso sgarrupatissimo che sbriciola storia, “If I ever lose my faith in you” apre a “Spirits in the material world”, in un'alternanza ex-band/solista mai così generosa come in questo tour. Prima di “Englishman in New York” ed “Every little thing she does is magic”, poche parole: un “Buonasera” e un “Come va” e la constatazione di un ritorno.

 

Sul palco, insieme al capo, sono in sei, due dei quali figli d'arte. Quello di Dominic Miller, Rufus, e quello di Sting, Joe. Un primo boato arriva su “Shape of my heart” (con padre e figlio allo stesso microfono), un secondo su “Message in a bottle”. Poi, l'ex-Police lascia il posto a Joe, che intona “Ashes to ashes” di Bowie. Di lì in poi, la canzone è un virgolettato unico senza soste, partendo dal nuovo album “59th & 7th”: “50.000-Walking on the moon-So lonely-Desert rose-Roxanne-Ain't no sunshine”. Per i bis si attinge all'esordio del 1978 (“Next to you”) e si dispensano sempreverdi e capolavori (“Every breath you take” e “Fragile”). Piazza e smartphone in visibilio.

 

Nulla da rimpiangere in questa formazione di padri e figli, se non l'alchimia perfetta del disco perfetto e della band perfetta di “Ten Summoners's tales”, punto d'incontro di rara immediatezza tra il songwriting e la musica colta, sunto del pop inteso come 'popolare' e non come 'porcata'. Insieme al fido Dominic si rivorrebbero le tastiere di Sancious e la batteria di Colaiuta. Ma era il 1993 e forse sono solo chiacchiere da bar. Malgrado il passo falso di “The last ship” (2013), musical che nemmeno la presenza del suo autore dal vivo ha salvato dal flop, il bassista-cantante che rappresenta la migliore convergenza tra avvenenza fisica e straripante talento (bilancia che oggi pende dalla parte dell'avvenenza, al resto ci pensano i ghost writers), è ancora integro e musicalmente attivo.

 

Nel Moon and Stars 2017 che si sforza di essere nuovo, nella Piazza del Grande Intrattenimento e della Grande Musica, nel giorno dei vagoni della Ffs griffati di pardo, nella terra di Stan The Man, e col permesso di Re Roger, almeno per ieri notte Sting è stato The King. Gioco, partita, incontro.

 

(c) La Regione by Beppe Donadio

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