Sting scatenato? l'ora del mito - All'Arena di Milano più di 24,000 fans per 2 concerti di musica travolgente resi più elettrizzanti dal carsima del divo...
La metà agibile dell'Arena di Milano è piena: più di 12,000 persone la sera di mercoledì (e altrettante ieri sera) si sono ordinatamente sparpagliate sul prato e sulle gradinate con notevole anticipo rispetto alle fatidiche ore 20, il momento fissato per l'inizio del concerto di Sting, la sua prima data della tournèe europea. Nemmeno il pericolo pioggia ha tenuto lontano i fans e tutto è andato secondo le aspettative.
Una luminaria accecante e un boato del pubblico accoglie la band con un agilissimo Sting in completo bianco. Subito si diffondono ritmi e calore con una sequenza in rapida successione di brani tratti dall'ultimo album 'Nothing Like The Sun', da 'We'll Be Together' a 'Englishman in New York'.
La miscela Sting funziona alla perfezione: c'è moltissima musica nera, dal reggae al jazz, che si mescola a citazioni colte e alla voglia di scatenarsi ballando. Le differenze rispetto al vecchio spettacolo si sentono subito: c'è meno introspezione, meno ombre e più colori decisi. Il carisma di Sting è amplificato da due schermi ai lati del palco su cui scorrono le immagini ingrandite dello spettacolo, e lui presenta e introduce i brani parlando un italiano quasi perfetto ''Tra poco ci sarà una pausa - dice lui - solo dieci minuti perché lo spettacolo è lunghissimo. Balleremo fino a notte. Va bene?'' E' ovvio che si, va bene. E Bring on the night dedicata a Gil Evans chiude la prima ora e mezza di spettacolo.
Alla ripresa Sting indossa un completo nero e dà inizio alla parte più politica del suo spettacolo. Il pubblico leva più in alto quei due otre cartelli e striscioni di Amnesty international e contro la tortura. Sugli schermi appaiono le madri e le mogli dei desaparecidos cileni, quelle donne costrette a ballare da sole, con le foto dei loro uomini appuntate al petto, quella specie di quadriglia che si chiama gueca. Sting canta They dance alone e si fa in quattro perché nessuna donna sul palco balli da sola. Si avvicina alla bella corista Dolette McDonald, agguanta la bellissima Tracy e poi, improvvisamente va a pescare dal retro palco la moglie Trudy Styler e con lei balla le ultime note della commovente gueca.
L'effetto, naturale, è scontato e scattano gli accendini del pubblico. Ma il momento di più grande commozione, con relativa generale luminaria, è per una delicata versione di Fragile che Sting intona accompagnandosi con una chitarra acustica, la stessa che senza pausa annuncia 'Little Wing' di Jimi Hendrix. ? il momento del fuoco e delle fiamme, del blues e del rock, della chitarra di Jeff Campbell che, senza essere didascalica, si lancia in quel torrente di note distorte e poetiche che hanno fermato nella storia il mito di Hendrix.
Si spengono le luci e per un attimo il gruppo scompare. Solo un attimo, però, perché le conosciute nite di 'Russians', il primo bis non previsto in scaletta, riempiono l'aria. Poi è la volta di 'Fortress Around Your Heart' tratta dall'album 'The Dream Of The Blue Turtles', e di una nuova versione di 'Don't Stand So Close To Me'. ? lo scatenamento finale nel vecchio repertorio Police e Sting, tra urla entusiaste soprattutto femminili e nonostante la brezza gelida milanese, si leva la giacca rimanendo a torso nudo.
Si spengono un'altra volta le luci, ma non gli impianti sul palco: segno che latri bis arriveranno. E arrivano: Sting intona la romanza Caro mio ben e poi, solo sul palco, ancora a torso nudo e con la chitarra acustica, esegue con notevole partecipazione da parte del pubblico la ormai storica 'Message In A Bottle'. ? proprio l'ultima canzone e il pubblico è sazio. ? un pubblico giovane quello che ha assistito al concerto di Sting e della sua banda di raffinati trentenni. Un pubblico in parte richiamato dal carisma e dal sex-appeal di un divo dello spettacolo e in parte attirato dalla sua musica senza troppe barriere di genere , una musica che vive di citazioni del passato usando il linguaggio dell'attualità.
(c) Il Mattino by Riccardo Barbieri (thanks to Valeria Vanella)
Sting, Narciso del rock - Ma dov'è finita la vecchia energia?
Il debutto italiano all'Arena civica di Milano. La prima parte del concerto con tutti i brani di 'Nothing Like The Sun', poi le altre canzoni comprese quelle scritte con i Police. All'orizzonte si profila qualche ombra minacciosa: intanto l'autocompiacimento poi la tendenza a rendere la sua musica patinata come i prodotti della moda.
Finalmente , dopo tanto parlare, Sting è salito su un palcoscenico, dando l'avvio ufficiale alla incandescente stagione rock che ci attende. Biondo, bianco vestito, sullo sfondo del cielo ancora luminoso, sembrava la perfetta incarnazione del mito solare, trasparente, quasi angelico, che la sua musica oggi descrive. Si muove poco, almeno nella prima parte del concerto, aggiungendo un tocco ascetico, purificatorio ad una silouette già fin troppo in odore di santità. E anche l'attacco non lascia dubbi: 'The Lazarus Heart' con quell'insistente ritornello che recita ''every day another miracle'' che sicuramente, posto all'inizio dello show, allude anche al miracolo della musica dal vivo, che ogni sera fa rinascere e morire una lunga storia da raccontare, sempre eguale eppure sempre diversa.
Ma il miracolo questa volta si è compiuto a metà. Tutta la prima parte del concerto, strutturata quasi esclusivamente sulle canzoni dell'ultimo disco, pone un confronto d'obbligo con il repertorio e il clima di quel gioiello irripetibile che fu il precedente tour, con tutto il desiderio sfrenato, l'entusiasmo e la rabbia di un artista che per la prima volta usciva dal guscio protettivo del gruppo per cimentarsi come solista. Oggi c'è il Gershwin di maniera di 'Englishman in New York', la ripetizione sbiadita di 'We'll Be Together' che ricorda in modo appannato l'originalità di 'Set Them Free', il superfluo di pezzi come 'Rock Steady' e 'Straight To My Heart'.
Per ritrovare vera linfa dobbiamo aspettare la citazione Police di 'Too Much Information', o la crepuscolare e tenue ispirazione di 'Sister Moon', uno dei pochi pezzi realmente emozionanti di questo nuovo album 'Nothing Like The Sun' che ha preceduto Sting in questa generosa cavalcata live in giro per il mondo. Di fronte a questi brani, si ha l'impressione di un prezioso liquido inopinatamente diluito con l'acqua. La forza, se c'è, si perde in una miscela incolore, dosata in modo morbido per non scuotere più di tanto il pubblico.
All'orizzonte del fenomeno Sting si profila qualche ombra minacciosa: l'autocompiacimento, in primo luogo per l'eccesso di narcisismo e, in qualche modo, anche la tendenza a desessualizzare la sua musica, a renderla scivolosa e patinata come i prodotti odierni della moda. E non c'è bisogno per questo di rimpiangere la sferzante energia, cupa e lunare, dei Police; non c'è bisogno di rimpiangere quell'incastro a tre che, come appare oggi, costringeva Sting ad un salutare lavoro di gruppo. Basta rimpiangere le prime avventure soliste , il sogno delle tartarughe blu; così compatto, essenziale, bruciante. Allora a sostenere il sogno c'erano Omar Hakim e Darryl Jones, batteria e basso che fanno pensare alla più inquieta e non compromessa tribalità tecnologica; oggi ci sono Jean Paul Ceccarelli e Tracy Wormworth, un bassista che invece di imprimere al gruppo una frustata in avanti, va al traino del ritmo collettivo.
Ma per fortuna il concerto è regolato dall'antica e sempre efficace legge del crescendo. Col calare della notte, e dopo aver espletato il doveroso elenco dei nuovi pezzi, Sting e il suo gruppo, complici le tenebre, vanno a riacchiappare brandelli di energia e anche di tempo perduto; One world , Set them free, e finalmente una bella entusiasmante versione di Bring on the night, pezzo che appartiene all'apice della storia dei Police, ma che fu riletto e forse anche migliorato dallo Sting solista.
E crescendo continua nel secondo tempo, aperto da un pezzo esemplare come 'They Dance Alone', capolavoro di equilibrio tra emozione poetica e sensibilità politica, e poi a salire verso 'King Of Pain', 'Walking In Your Footsteps', 'Little Wing', 'Fortress Around Your Heart', con l'eccezione di 'Russians', che oggi come due anni fa, continua a sembrarci una pesante caduta di qualunquismo.
Con la sua musica priva di categoria e il suo charme divistico, Sting è una figura tipica della musica contemporanea, o almeno rappresenta la pressante esigenza individualistica in atto nel rock. Non dimentichiamo che il contributo forse più rivoluzionario portato dal rock alla cultura del nostro tempo è stato proprio l'idea di un'arte elaborata da un gruppo, cioè da una rappresentazione collettiva. Oggi usa molto di meno, le figure leader sono quasi tutte dei solisti, e questo va interpretato in connessione alle diverse tensioni, ai diversi modelli di comportamento in vigore. Così dovremmo intendere la storia di Sting, il passaggio da un lavoro di gruppo a quello individuale, e non sarebbe di per sé negativo, se non presentasse pericoli di cui ogni artista dovrebbe tener conto. Se non ci si può più specchiare nel contatto con i propri compagni, si può rischiare di finire per specchiarsi nella propria immagine.
Ombre, rischi ancora lontani, ma non completamente assenti da quello che è Sting oggi. Anche se tutti, alla fine del concerto erano disposti a dimenticarlo, come sempre dopo aver riascoltato i capolavori del passato: 'Don't Stand So Close To Me', e soprattutto 'Message In A Bottle', intervallate da un prezioso omaggio al pubblico italiano, ovvero al romanza Caro mio ben, tratta dal Serse di Haendel, in ricordo di Caruso, cantata come un elegante sussurro in perfetto italiano. L'addio come sempre è stato il messaggio nella bottiglia, da affidare al mare. Era il senso di una generazione di naufraghi che ancora cercava l'utopia: mi sono svegliato questa mattina, e non credevo a quello che vedevo, milioni di bottiglie sulla spiaggia.
Ma ha ancora senso oggi? Perché le bottiglie ritornino, a valanga, bisogna che il messaggio sia preciso, che sia rivolto alle orecchie di tutti quelli che ancora oggi vogliono ascoltare le giuste parole.
(c) La Repubblica by Gino Castaldo (thanks to Valeria Vanella)